Spesso si pensa che il regime contributivo penalizzi solo l’importo delle pensioni, prendendo in considerazione solo i contributi versati durante la carriera, senza tener conto dei vantaggi del regime retributivo che valorizza le retribuzioni più alte degli ultimi anni.
Tuttavia, il regime contributivo ha conseguenze anche sulla data di accesso alla pensione e sulla possibilità di accedere a determinate protezioni. Per coloro che rientrano esclusivamente nel regime contributivo, cioè chi ha iniziato a versare contributi dopo l’1 gennaio 1996, ci sono regole diverse per l’accesso alla pensione e l’esclusione dall’integrazione al trattamento minimo. Quest’ultimo strumento aumenta la pensione quando l’importo è inferiore alla soglia minima stabilita annualmente.
In questo caso, anche un singolo contributo settimanale potrebbe fare la differenza, influenzando significativamente il percorso verso la pensione.
Essere “contributivi puri” può cambiare i piani per la pensione. Si definiscono contributivi puri coloro che non hanno nemmeno un contributo settimanale versato entro il 31 dicembre 1995. Un singolo contributo del genere avrebbe fatto la differenza, ad esempio, per i contributivi puri che non possono accedere alla pensione con 41 anni di contributi.
Attualmente esiste uno strumento chiamato “Quota 41” (che il governo vorrebbe estendere a tutti) che consente di accedere alla pensione con soli 41 anni di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica. Possono accedervi solo i lavoratori precoci, ossia coloro che hanno accumulato 12 mesi di contributi entro i 19 anni di età. Inoltre, bisogna appartenere a determinati profili che godono di maggiori tutele, come disoccupati di lungo periodo, invalidi (almeno al 74%), caregiver e lavoratori gravosi.
Tuttavia, come accennato in precedenza, per poter accedere a Quota 41 è necessario avere almeno un contributo versato entro il 31 dicembre 1995, quindi i contributivi puri ne sono esclusi.
Lo stesso vale per l’accesso alla pensione di vecchiaia con 15 anni di contributi anziché i soliti 20 anni richiesti. La “terza deroga Amato” consente a coloro che hanno un’anzianità assicurativa di almeno 25 anni di andare in pensione a 67 anni con 15 anni di contributi (purché almeno 10 anni siano stati lavorati con meno di 52 settimane contributive). Potrebbe sembrare sufficiente aver iniziato a lavorare nel 1998 per usufruire di questa possibilità, ma non è così: anche la terza deroga Amato richiede che almeno un contributo settimanale sia stato versato nel regime retributivo, quindi entro il 31 dicembre 1995.
Inoltre, è vero che la pensione di vecchiaia a 67 anni è aperta anche ai contributivi puri, ma va sottolineato che per loro è richiesto un ulteriore requisito che potrebbe mettere a rischio la possibilità di pensionamento. In particolare, si stabilisce che l’assegno pensionistico al momento del pensionamento deve essere almeno pari a 1,5 volte l’importo dell’assegno sociale. Sulla base dei dati aggiornati al 2023, ciò significa che sarà necessario avere almeno una pensione annua di 9.813,76 euro.